venerdì 26 febbraio 2016

Figli UNICI: essere fratello di un fratello diversamente abile-www.siblings.it/bibliografia/figliunici.doc


Figli UNICI: essere fratello di un fratello diversamente abile
Dott.ssa Antonella Robortaccio (Presidente cooperativa solidarietà)
Dott.ssa Rossella Perillo (Psicologa-Psicoterapeuta)
www.siblings.it/bibliografia/figliunici.doc

La Cooperativa Solidarietà (www.solidarietacoop.it), da anni impegnata sia nell’accompagnare minori e adulti affetti da disabilità nel loro percorso di vita sia accanto alle famiglie dei diversamente abili per sostenerle ed aiutarle nella crescita e nel percorso riabilitativo ed educativo del proprio figlio, ha realizzato una ricerca dal titolo “Figli “unici”: essere fratello di un fratello diversamente abile”, al fine di conoscere il ruolo e il punto di vista dei figli che sono presenti in famiglia e quello dei genitori in relazione agli altri figli che compongono il nucleo famigliare.
La ricerca nasce con l’intento di colmare (sebbene non abbia una pretesa di esaustività) il gap presente in letteratura, i cui studi si riferiscono fondamentalmente al nucleo famigliare più stretto focalizzato sulla relazione duale padre/madre-figlio diversamente abile. I siblings (termine con cui in letteratura vengono chiamati i fratelli e le sorelle dei diversamente abili) occupano un posto marginale nella letteratura, nonostante, “essere fratello o sorella di una persona con disabilità sia un’esperienza determinante per ognuno di noi (fratelli) e certamente ci accompagnerà per tutta la vita (…..). La disabilità fa parte anche di noi, della nostra vita e delle nostre scelte quotidiane, dall’infanzia alla vecchiaia. Fin da piccolissimi conosciamo la diversità: spesso anche noi, come i nostri fratelli, siamo vittime dei pregiudizi o oggetto di scherno (…). Eppure, della disabilità, conosciamo più di ogni altro, anche le gioie: le soddisfazioni date da conquiste comuni e la comprensione delle difficoltà incontrate, un piccolo successo ottenuto con molta fatica” (Lupo, 2015).
Le ricerche che si sono occupate della relazione fra fratelli si sono concentrate essenzialmente sugli effetti negativi che potrebbero derivare da questi bambini disabili sullo sviluppo affettivo del fratello non disabile. Lo scopo della ricerca condotta dalla Cooperativa Solidarietà mira, invece, a individuare le emozioni che un fratello normodotato nutre nei confronti del fratello disabile, e quanto queste emozioni siano riconosciute dai genitori. Si intende, pertanto, verificare se, in una famiglia in cui sia presente una situazione di disabilità legata ad un figlio, le capacità empatiche e le competenze emotive dei genitori in relazione al figlio non disabile fossero efficaci ed adeguate. Tale necessità origina dal fatto che i ricercatori hanno constatato che, più del Q.I., sono la consapevolezza emotiva e la capacità di padroneggiare i sentimenti a determinare il successo e la felicità in tutti i campi dell'esistenza, inclusi i rapporti famigliari. Per i genitori, questa “intelligenza emotiva, significa essere consapevoli delle emozioni dei propri figli, essere in grado di empatizzare con loro, di rasserenarli e di guidarli. Per i figli ciò implica la capacità di controllare i propri impulsi, rimandarne il soddisfacimento, motivare se stessi, interpretare i segnali sociali che provengono dalle altre persone, affrontare gli alti e bassi della vita (Gottman, 1998).
La ricerca è stata condotta su un campione di 56 famiglie pugliesi individuate dalla Cooperativa Solidarietà in quanto i loro figli sono seguiti nel servizio di assistenza specialistica scolastica, nel Centro Diurno Socio-Educativo e Riabilitativo per disabili “La Locomotiva” di Binetto e “Solidarietà” di Corato.
La ricerca prevedeva un questionario per ogni membro del nucleo famigliare: padre, madre e figlio normodotato. Il questionario era composto da domande a risposta multipla in cui si chiedeva alla coppia genitoriale di rispondere a domande sulla relazione fra i fratelli e sulle emozioni/percezioni che il figlio normodotato provava nei confronti del fratello diversamente abile, e ai fratelli di esprimere le emozioni e i pensieri suscitate dal fratello affetto da disabilità.
In conclusione veniva chiesto alla coppia genitoriale di poter scrivere una lettera al figlio normodotato e si chiedeva al fratello normodotato di scrivere una lettera per il fratello affetto da disabilità.




Vengono riportati in sintesi i risultati più significativi emersi dalla ricerca.




Dal grafico si evince che l'emozione prevalente individuata dalle famiglie è l'affetto (65,4%), seguita dalla protezione, dalla responsabilità, dalla tenerezza, dall'amore. La tristezza e la preoccupazione permeano il tessuto famigliare in relazione al figlio disabile rispettivamente nel 35% e nel 21% dei casi. Le emozioni secondarie e che probabilmente sono vissute come socialmente inaccettabili (indifferenza, vergogna, gelosia, insopportazione, fastidio, ostilità) presentano una frequenza molto bassa.


Alla luce di ciò è stato chiesto ai genitori di indicare l'emozione/i che ritenevano provasse il figlio normodotato nei confronti del fratello disabile e si è correlato il risultato con l' emozione riferita dal figlio stesso.





Da un'analisi più specifica, in cui vengono rappresentate le singole emozioni così come espresse dai singoli membri del nucleo famigliare, si possono fare osservazioni rispetto alle emozioni riferite secondariamente:
  • la pena che un figlio normodotato può provare rispetto al fratello disabile viene riferita fondamentalmente dal figlio stesso e dalla mamma, mentre il papà la individua solo nell'1% dei casi;
  • la colpa è riferita solo dal figlio e assolutamente non menzionata dalla coppia genitoriale. La colpa probabilmente deriva dalla percezione di aver avuto una sorte migliore del fratello disabile e verosimilmente, da quanto emerge nel campione preso in esame, questi figli vivono in solitudine un sentimento di colpa che può generare malessere psicologico.
  • la rabbia viene individuata da entrambi i genitori come emozione espressa nel figlio in misura doppia rispetto a quanto riferito dal figlio normodotato e l'ostilità viene individuata solo dalla mamma.
  • Vergogna e insopportazione vengono riferite solo dalla coppia genitoriale, mentre i fratelli escludono assolutamente questa emozione in relazione al fratello disabile.
  • La gelosia non viene citata dal papà, laddove la frequenza con cui viene espressa da madre e figlio sia congruente, mentre il papà ritiene che il figlio normodotato possa provare indifferenza nei confronti del figlio disabile.
  • Preoccupazione e responsabilità vengono riferiti dal figlio con frequenza maggiore rispetto a quanto riferito dalla coppia genitoriale, probabilmente come risultato di un'azione o di una tendenza adultizzata da parte del fratello.


Procedendo ad imbuto, e analizzando nel singolo nucleo famigliare la percentuale di concordanza sul riconoscimento delle emozioni nella triade padre-madre-figlio , si possono fare le seguenti osservazioni generali:
Confrontando la capacità empatica del padre e della madre in relazione al figlio normodotato, si evince che fondamentalmente il grado di concordanza è maggiore nella relazione madre-figlio rispetto alla relazione padre-figlio. Nel singolo nucleo famigliare, la mamma e il figlio concordano nell'individuazione dell'emozione in misura maggiore rispetto a quanto concordino padre -figlio su 15 emozioni, mentre per il padre la capacità di individuare l'emozione che il figlio prova nei confronti del fratello disabile, risulta essere maggiore della madre solo per 4 emozioni.
Successivamente si è chiesto ai genitori se ritenessero di dedicare al figlio normodotato maggiori, minori o uguali attenzione/tempo rispetto al figlio affetto da disabilità. È stato inoltre chiesto ai figli normodotati se ritenessero che i genitori dedicassero loro maggiori-minori-uguali attenzione/tempo rispetto al fratello diversamente abile.


































I papà e i figli riferiscono rispettivamente nel 62,5% e nel 73,2% dei casi che il tempo/attenzioni dedicate al fratello disabile sia maggiore. La mamma lo riferisce solo nel 25% dei casi.
I figli ritengono di avere meno attenzioni del fratello nel 5,4% dei casi, laddove la percezione di dare al figlio normodotato meno attenzioni del figlio disabile si attesta per i papà al 26,8% dei casi e per le mamme al 32,1% dei casi.
Le mamme, nel 42,9 % dei casi, ritengono che le attenzioni dedicate al figlio disabile e al figlio normodotato siano uguali, percentuale che diminuisce significativamente al 10,7% per i papà e al 21,4% per i figli.
È interessante notare come questi dati cambino quando si analizza la percezione del tempo dedicato ai figli all'interno dello stesso nucleo famigliare.
Nello specifico emerge quanto segue:




  • padre e figlio concordano nel 41,1 % dei casi rispetto alla percezione che al fratello disabile venga dedicato più tempo/attenzioni, mentre madre e figlio concordano rispetto a questo aspetto nel 12,5 % dei casi. Se dunque è vero che la consapevolezza della propria azione pedagogica ed educativa può promuovere un cambiamento in misura maggiore rispetto a quando tale consapevolezza non è raggiunta, si può affermare che nel 87,5% dei casi le mamme non intervengono per dedicare più tempo/attenzioni ai loro figli normodotati.
  • Sorprende inoltre che i papà siano su questo aspetto più empatici delle mamme. Probabilmente ciò si può spiegare con il fatto che le mamme siano più competenti solitamente sul piano emotivo, mentre i papà siano più competenti su questioni di carattere pragmatico e razionale, e che la variabile tempo/attenzioni dedicate a qualcuno siano un dato meno intimo e più oggettivabile.


È stato chiesto alla coppia genitoriale se la vita del figlio disabile sarebbe stata diversa (in termini di migliore qualità) se non fosse nato il figlio normodotato e se la vita del figlio normodotato sarebbe stata diversa se non fosse nato il figlio disabile.














Secondo i papà, la vita del figlio normodotato sarebbe stata diversa, e quindi migliore, nel 66,1% (dato anche in linea con la quantità di tempo che i papà riferiscono attribuire in misura minore ai figli normodotati) dei casi ,mentre la vita del figlio disabile non sarebbe stata migliore per il 64,3% dei casi.
Secondo le mamme, la vita del figlio normodotato non sarebbe stata diversa (62,5%). Anche questo dato è in linea con la percezione delle mamme di riuscire a dedicare un tempo/attenzioni sufficientemente equilibrato a tutti e due i figli. A confermare questo dato, vi è il dato successivo per cui secondo le mamme la vita del figlio disabile sarebbe stata qualitativamente migliore in assenza del figlio normodotato solo nel 55,4% dei casi.
Ai figli normodotati è stata chiesto se ritenessero se la propria qualità di vita sarebbe stata migliore-peggiore o uguale senza la presenza del fratello diversamente abile.




Come si evince dal grafico, nel 50% dei casi i figli ritengono che la loro vita senza il fratello disabile sarebbe stata peggiore, mentre il restante 50 % del campione si attesta fra la percezione di una qualità di vita migliore e uguale.
Quindi, leggendo qualitativamente i risultati emersi dalla domanda rivolta ai figli rispetto alla percezione del tempo/attenzioni dedicati dai genitori e la domanda relativa alla percezione della propria qualità di vita, si può osservare che, nonostante i fratelli normodotati percepiscano di avere meno attenzioni e meno tempo da parte dei genitori, riconoscono nei fratelli disabili una risorsa migliorativa alla propria esistenza e questo è confermato anche dalle emozioni positive che si riconoscono di provare quando pensano al fratello disabile.
Questo dato è, inoltre, congruo e coerente con quanto emerge dall'analisi della domanda relativamente alla possibilità che il figlio normodotato possa occuparsi di quello disabile in futuro.














Infatti, nel 73,2% dei casi ,i figli dichiarano la propria disponibilità ad occuparsi del fratello disabile in futuro, quando i genitori saranno impossibilitati a farlo. Emerge quindi non solo il senso di protezione e di responsabilità che i fratelli si riconoscevano in relazione al fratello disabile, ma anche che la loro qualità di vita non è inficiata dalla presenza di una disabilità.
Il campione dei papà è esattamente tagliato a metà rispetto a questa previsione, mentre le mamme, in maniera coerente con il dato sulla percezione della qualità di vita del figlio normodotato (nel 62,5% dei casi riferiscono che la qualità di vita del figlio normodotato non sarebbe stata migliore senza il fratello disabile) riferiscono nel 62,5% dei casi che il figlio normodotato si occuperà del fratello disabile.


Come detto in premessa, i risultati di questa ricerca non hanno alcun intento esaustivo e di rappresentatività, tuttavia possono fornire agli operatori del settore e alle famiglie la possibilità di muovere riflessioni, in un'ottica migliorativa e propositiva.
In generale, è necessario, alla luce di quanto emerso, aumentare la quantità e la qualità della comunicazione all'interno del contesto famigliare, in riferimento alla problematica della disabilità che suscita emozioni variegate e non sempre espresse o esprimibili.
Si ritiene utile inoltre, guardare anche con interventi di carattere psicologico, al figlio normodotato presente in famiglia, che deve poter contare su uno spazio psicologico in cui poter esprimere il proprio punto di vista, evitando l'isolamento o il mutismo e sentendosi in diritto di essere, e non solo di esserci. Essere Fratello innanzitutto, e riconoscersi il diritto ad essere ascoltato oltre che ad ascoltare.
Si riportano alcune delle lettere scritte dai papà e dalle mamme ai propri figli, e alcune delle lettere che i fratelli hanno scritto al loro fratello “unico”, che possano essere per i lettori sprono alla riflessione e occasione per avvicinarsi ad una realtà, quale è quella della famiglia fra disabilità e normalità, che risulta essere esperienza intrinsecamente unica.
Cara figlia mia, è la prima volta che ti scrivo. E lo faccio con coraggio e con timore, guardando dentro me e facendo lo sforzo di farlo con i tuoi occhi. Non so se io sia riuscita ad essere per te il genitore che avresti voluto, o meglio che avresti meritato. Non so se, seppur sbagliando, io almeno ti abbia fatto sentire amata. Un genitore ha il dovere di guidare i figli lungo il percorso della vita, un percorso in cui pian pian il figlio comincia a camminare facendo leva sulle sue gambe e trovando la mano del genitore, quando inciampando, fatica a tirarsi su. So che, lungo il tuo cammino, spesso i nostri passi non si sono incrociati e che io ho corso fondamentalmente dietro tuo fratello, lasciando te procedere da sola, te che a volte mi rincorrevi, a volte arrancavi, a volte trovavi in me solo un appoggio fragile e zoppicante. E ti chiedo scusa per questo. Per non essere stata sufficientemente presente e per aver dato la priorità a tuo fratello, alle sue fragilità e alle sue problematicità. Più che figlia unica, forse ti sei sentita figlia orfana, mentre io mi sono sentita una mamma miracolata, dalla tua presenza nella mia vita. Senza di te la mia vita sarebbe stata monca, avrei sperimentato l'essere un genitore a metà, mi sarei sentita solo una mamma disabile. Oggi mi sento grazie a te e a tuo fratello una mamma “diversa” e questa differenza dalle altre mamme non mi fa più paura...
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Cara figlia mia, scusami. Scusami se non mi dedico a te tutto il tempo che vorrei e se chiedo anche a te di darmi una mano. Voglio che tu e tuo fratello andiate sempre d’accordo. Siate uniti sempre. E io so, che lui può contare su di te.
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Amore mio, io volevo il meglio per te, però purtroppo le cose non vanno sempre come vorremmo ma l’importante è che tutto questo un giorno passerà e tu potrai goderti tuo fratello al meglio. Io non chiuderò gli occhi finché non farò il massimo per te e per lui.
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Dolce amore della mamma, volevo dirti che amo te esattamente come amo tuo fratello. Purtroppo la vita riserva sorprese non sempre piacevoli. Il problema di tuo fratello è arrivato come un fulmine a ciel sereno e molte cose sono cambiate. Io stessa non sono stata più la stessa, il mio cuore è andato in mille pezzi. Ma l’amore per un figlio spinge sempre a trovare la forza e il coraggio per andare avanti e non c’è nulla che non farei per voi…
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Sono fiera dell’uomo che stai diventando, giorno dopo giorno…
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Figlio, grazie a te sono uscita da un burrone profondo come gli abissi, di colore così nero e buio che le stelle e il cielo li sognavo! Grazie alla tua nascita tutto è cambiato! Non ero più sola. Sono rinata, ho capito che avevo la vita dinanzi, e grazie a voi ho riso, ho lottato. Grazie per essere nato. Grazie per esserci. Grazie per tutti i sorrisi e le coccole che mi fai!
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Il bene per te è tanto, anche se spesso non si vede….vorrei che diventassi un uomo maturo e consapevole, e spero che un giorno quando i tuoi genitori non ci saranno più, tu possa seguire tua sorella a cui vuoi molto bene.
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Sei stato tanto desiderato, come tua sorella disabile e sarai sempre al centro delle mie attenzioni e lo sai bene. È inutile descriverti il bene che ti voglio, per quanto pazzerello sai nei momenti giusti essere serio. È vero che voglio caricarti di un problema molto serio nel giorno in cui non ci sarò più (credo molto vicino) ma so anche che non ti tirerai indietro: dovrai solo dedicare un po’ di tempo a tua sorella, dovrai controllare che la trattino bene e con tutta l’umanità possibile. Ti lascerò tutte le possibilità economiche per farlo e gli insegnamenti d’amore che ti ho sempre dimostrato con atti concreti e sappi che il mio cuore è colmo di amore per tutti e due in egual misura.
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Cara figlia mia, quando sei nata ho pensato che avresti arricchito e stabilizzato la vita di tuo fratello e non ho considerato invece, quanto tuo fratello avrebbe arricchito e stabilizzato te. Se oggi sei così aperta e tollerante verso gli altri, se oggi non accetti alcuna forma di discriminazione lo devi un po’ anche a tuo fratello, che ha insegnamento a te e a noi che ognuno è “normale” a modo suo.
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Sono dispiaciuta per tutte le volte che io e papà non possiamo essere genitori a pieno con te….sappiamo che comprendi e sappiamo però che non è giusto. Sei la nostra piccola donna….
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Caro figlio, la nostra, lo sai, è una famiglia speciale, con i suoi pro e i suoi contro, come tutte. So che in molte cose siamo penalizzati, ma vuoi mettere la nostra ricchezza? La sensibilità, i sentimenti, le vere priorità, l’importanza di cose semplici e molto altro che tuo fratello ci ha insegnato. Io da te desidero una cosa: usa la tua vita al massimo, senza mai sprecarla. Tuo fratello la trascorrerà su una sedia. Non maltrattare mai il dono che hai: la vita! E che l’esperienza e la sofferenza di tuo fratello ti sia d’insegnamento.
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Cara figlia, tu sei il sole, la luce che brilla all’alba…sei raggiante di vivacità ed un giorno camminerai per la tua strada. Ti innamorerai di un uomo e conoscerai altre emozioni che tua sorella non potrà mai conoscere, perché privata da chissà chi e per chissà quale motivo. Non scordare mai di essere una donna fortunata! Sii forte. Ti voglio bene
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Caro fratello mio, io ti voglio bene. Anche se hai questo problema, anche quando parli da solo, anche quando ridi vedendomi piangere perché non capisci le mie emozioni. Io non mi vergogno di te, anzi, alcune volte mi dimentico che sei disabile!
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Caro fratello, ti voglio bene, anche se alcune volte mi fai arrabbiare. Insieme a te mi diverto tanto a giocare a cavalluccio sul letto e a fare le capriole. Le mie amiche non fanno questo con i loro fratelli di 13 anni...io sono fortunata!
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Caro fratellino, quando ero piccola come te ho inviato una lettera a Babbo Natale, per chiedergli di avere un fratello e sei arrivato tu. All’inizio ero molto gelosa di te, perché pensavo che i nostri genitori mi stessero trascurando ma poi ho capito che tu eri piccolo e avevi bisogno di più attenzioni. Ora che stai diventando grande mi accorgo che gli anni passano in fretta ma tu resti sempre la solita peste che non sta mai ferma. Sei il mio unico fratello e per questo ti voglio ancora più bene di quanto chiunque possa pensare e sappi che su di me potrai sempre contare.
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Cara sorella, ti scrivo sebbene tu non potrai leggere mai questa lettera. Ma spero che al di là delle parole, di cui spesso non capisci il senso e l'utilità, ti sia arrivato in questi anni di vita il mio essere “presenza” vigile, costante e appassionata nella tua vita. Spesso, mi sono ritrovata io nell'ombra, nel silenzio, all'angolo, mentre tu, anima e corpo, eri sotto i riflettori della nostra famiglia. Mi sono spesso sentita esclusa da questo rapporto speciale che c'era fra te, la mamma e il papà. Sembrava che io fossi di troppo, che io rubassi tempo ed energie ai nostri genitori, presi da te, dalla tua disabilità. Non ho mai pensato che sarebbe stato meglio se tu non fossi nato. Piuttosto ho pesato spesso che sarebbe stato meglio se io non fossi nata....perchè mi sentivo in colpa. A me era andata bene! I miei geni non erano ereditariamente “malati” e io mi sentivo quella “ingiustamente fortunata”. Ricordo che spesso non raccontavo dei miei successi a scuola, delle cose in cui riuscivo: mi sembrava di rubarti qualcosa, e temevo che i nostri genitori si rendessero conto ulteriormente della differenza tra te e me, differenza che c'era oggettivamente, ma che, se avessi potuto, avrei azzerato. Spesso ti lasciavo vincere nei nostri giochi: volevo che fossi tu il vincitore, che assaporassi anche tu il gusto del traguardo. Ma a te non importava nulla. Non capivi neanche il senso del nostro batterti le mani e urlarti bravo. Ma io mi sentivo più in pace con me. Con gli anni ho capito che in realtà tu hai vinto: hai vinto la sfida più grande: quella di essere al mondo, quella di catturare la dolcezza (e non la pietà e la pena) della gente che ti ha visto crescere, che tu hai vinto insegnandoci che ci sono rapporti di autentico amore che vanno oltre le parole, la fisicità, il potersi raccontare...io ti amo e tu mi ami anche se non ce lo siamo mai potuto dire, ma questo bene, come acqua effervescente, scorre nelle nostre vene e io, oggi, ragazza di quasi 20 anni, non potrei farne a meno!
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Caro fratello, quando eri appena nato, mi ricordo che mamma dedicava molte più attenzioni a te che a me: ti prendeva in braccio, ti coccolava, ti difendeva sempre quando mi rubavi i giocattoli e non ti sgridava mai, e tutto questo mi faceva molta rabbia. Sono sempre stata gelosa di te e dell’affetto così grande che mamma provava per te per via della tua malattia e dopo che nostro padre è morto mi ero quasi convinta che nessuno mi avrebbe amato tanto quanto te. Ora che sono adulta non mi pongo più questi problemi, ma per una bambina sono comunque esperienze che segnano. Potrei anche sembrarti un’egoista, e avresti perfettamente ragione, ma il fatto è che sono molto dispiaciuta dal fatto che non sono mai riuscita a stabilire un rapporto fratello-sorella con te, forse anche a causa della tua malattia. O forse per colpa mia che non sono una persona paziente e non riesco mai a legarmi a nessuno in particolare. Ora non me la sento di dirti che avrei voluto avere un fratello o una sorella normali, solo avrei voluto che tra di noi si fosse creato un legame profondo che ci avrebbe uniti in tutto e per tutto, ma purtroppo così non è stato e mi piacerebbe molto ricevere un aiuto da parte tua o di qualcun altro per lasciarmi entrare nel tuo mondo e far sì che la nostra situazione cambi. Con affetto.
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Per anni mi sono sentita “figlia unica”. Non avevo due occhi che incrociassero i miei, non avevo una sorella a cui dire ciao, perché tu vivevi nel tuo mondo, ferma, immobile, senza che nessuno ti svegliasse da quel torpore che sembrava invaderti l’anima. Non osavo neanche chiedere a mamma e papà di “regalarmi” un altro fratello, perché sapevo che avrebbero capito che non ero “soddisfatta” di te e che avrei dato loro una delusione e li avrei fatti sentire “falliti”, come loro spesso si appellavano. … Col tempo ho imparato ad interagire con te e credo oggi di poter dire che non sono io la figlia unica ma tu la figlia unica. Unica perché sei speciale! Unica perché sei inconfondibile! Unica perché nessuno potrà mai sostituirti nella mia vita e nella vita delle persone che hanno avuto la fortuna di incrociare, anche per pochi secondi, il tuo sguardo perso ma così dolce da lasciare il segno: il segno della tua esistenza!
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Caro fratello, è tuo fratello che ti scrive. Io vorrei dirti che provo come un piccolo senso di colpa per la tua disabilità. Ora io ti proteggo e ho un forte senso di responsabilità, perché nonostante tu sia il fratello maggiore, tu sei più piccolo di me. Io ti consiglio di affrontare questa vita senza attraversare momenti tristi e senza trovare ostacoli. Ti voglio bene.
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Caro fratellone, per alcuni anni sei stato una “palla al piede” per me. Da piccolo quando mi seguivi ovunque andassi, ti ho anche odiato. Dovevo correrti dietro quando andavi in bici con la testa bassa…. Crescendo, grazie a mamma e a chi ti ha voluto bene, sei migliorato tanto e ancora oggi mi dimostri che puoi fare sempre di più. Ho tanta fiducia in te e ora ti guardo con occhi diversi…ti voglio bene e non riesco ad immaginarti diverso da come sei. Forse riesco ad immaginare di più come sarei stata io se tu fossi stato diverso. Probabilmente non avrei avuto l’apertura mentale che ho adesso. Stare vicino a te mi aiuta molto a uscire dai finti problemi che spesso mi creo, sei la mia ispirazione. Ti voglio un bene immenso.
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Quando sei nato ancora non sapevamo del brutto scherzo giocatoci dal destino, ma ricordo benissimo la gioia con cui ti abbiamo accolto. La stessa che si è trasformata in paura quando sono cominciate le difficoltà, i ricoveri, le tensioni che la situazione ci ha sbattuto in faccia. Ero piccola, ma capivo benissimo che tu eri “diverso” e ricordo che la sera, mentre dormivi, ti venivo ad osservare: un momento tutto nostro: li sparivano i problemi, con gli occhi colmi di un amore profondo che ti scrutavano nel sonno e in quei momenti ho iniziato ad innamorarmi della tua diversità. Ho iniziato a covare in me un senso di protezione indescrivibile nei tuoi confronti, ho capito quanto fossi vulnerabile e quasi indifeso in questa vita amara. Ho avuto difficoltà crescendo nel comprendere i tuoi atteggiamenti fuori dal comune, le tue dimostrazioni d’affetto “personalizzate”. Ci siamo scontrati su più fronti io e te, come fanno i fratelli tra l’altro. Perché tu per me sei questo: un fratello, non un disabile. Percorso inevitabile per giungere all’oggi. Le tue fragilità hanno fatto rafforzare il mio carattere annullando le mie, le tue sofferenze le vivo quasi in prima persona e purtroppo non riesco a far sì che nulla possa turbarti. Per te vorrei il meglio, sempre. Ma so che non è mai abbastanza. E mi devi scusare se non sono abbastanza. So che soffri molto perché vorresti che la tua vita fosse normale, ma so anche che sei stato tanto forte da accettare te stesso per quello che sei, perché nonostante tutto sai che non ti manca nulla, che per noi la tua diversità non fa la differenza. Il futuro lo affronteremo insieme, uniti, e nessun ostacolo sarà insormontabile…ti voglio bene. Non dimenticarlo.
Queste sono solo alcune delle lettere, delle riflessioni, dei pensieri dei genitori e dei fratelli che hanno risposto alla ricerca.
Sono quei genitori che hanno vissuto una genitorialità “unica”, non battuta da strade consuete, ma da inventarsi quotidianamente, nel faticoso compito di mantenere l'equilibrio fra figli spesso intimamente e completamente diversi fra loro . Genitori che nelle righe che sono riusciti a buttare giù, fra la fatica del cuore e del pensiero, sono in cammino, e che si muovono tra curiosità, paradossi, continua ricerca di senso e di orientamento, condivisione, riconoscimento delle proprie debolezze e slancio verso il proprio dover essere. Dover essere genitore di un figlio diversamente abile e genitore di un figlio normodotato.
E sono quei sibling, fratelli e sorelle, prima ancora che fratelli e sorelle di un diversamente abile. Bambini, adolescenti, giovani adulti, che spesso si sono trovati disorientati nella propria vita dalla vita del proprio fratello, in difficoltà nel darsi e nel riconoscersi un posto nel mondo famigliare. Giovani fratelli chiamati ad esserci e ad essere, in un precario equilibrio in fieri fra se stessi e il proprio fratello. Fratelli che hanno potuto condividere il proprio vissuto, altri che hanno vissuto senza condividere, perché le emozioni, quelle intense e primarie, quelle di cui si intringe ogni rapporto fraterno, a volte dirompono e sono difficili da contenere, da arginare, da elaborare, da esprimere. Loro ce l'hanno fatta, e come loro, in molte altre famiglie, aleggiano voci flebili o più tenaci, la voce di chi parla per sé, a sé, di sé, del proprio fratello, e che tesse le maglie della propria vita e del proprio futuro e che porta, sulla coda del suo tempo, non un fratello ma il Fratello e , come dice L. (sorella 7 anni) “se avessi un fratello diverso, lo vorrei uguale a lui”.
E se come dice Terzani, «la storia esiste solo se qualcuno la racconta», questo grumo di pensieri “amati e armati” rompe il senso di solitudine e di spaesamento, e diventano parole in circolo, nella trama famigliare. Uniche, pertanto, sono quei figli e quelle famiglie che accettano la sfida di alzarsi e di mettersi in cammino, che non si sono perse nei meandri dei “Perchè'”, ma che rispondono a quei perchè nell'azione quotidiana, re-immaginando i confini di una famiglia ideale, guardando oltre i crinali della disabilità.












La ricerca "Figli ‘unici': essere fratello di un fratello diversamente abile"

http://www.superabile.it/web/it/REGIONI/Puglia/Il_Punto/info-1793318138.html

Siblings, il 73% di loro si prenderà cura dei fratelli disabili

La ricerca "Figli ‘unici': essere fratello di un fratello diversamente abile", condotta su 56 famiglie dalla pugliese Cooperativa Solidarietà, indaga sulle emozioni e la qualità della vita percepite da fratelli di ragazzi disabili, spesso poco considerati da studi e indagini
ROMA - Quali emozioni nutre un fratello nei confronti del fratello disabile, e quanto queste emozioni sono riconosciute dai genitori? Si è posta questo domanda la ricerca condotta in Puglia dalla Cooperativa Solidarietà e curata da Antonella Robortaccio, presidente della cooperativa, e da Rossella Perillo, psicologa e psicoterapeuta. L'indagine, dal titolo "Figli ‘unici': essere fratello di un fratello diversamente abile" ha voluto verificare, come spiegano le curatrici, "se, in una famiglia in cui sia presente una situazione di disabilità legata ad un figlio, le capacità empatiche e le competenze emotive dei genitori in relazione al figlio non disabile siano efficaci e adeguate". I "siblings" (termine con cui in letteratura vengono definiti i fratelli di persone disabili) sono considerati solo marginalmente negli studi in tema di disabilità, s'indaga sulla relazione dei genitori con il figlio disabile ma meno spesso si guarda ai fratelli. Proprio per colmare questo gap nasce la ricerca pugliese, condotta su un campione di 56 famiglie pugliesi individuate dalla Cooperativa Solidarietà in quanto i loro figli sono seguiti nel servizio di assistenza specialistica scolastica, nel Centro Diurno Socio-Educativo e Riabilitativo per disabili "La Locomotiva" di Binetto e "Solidarietà" di Corato. "Nessuna pretesa di esaustività" ma senz'altro un orientamento prezioso per "guardare anche con interventi di carattere psicologico al figlio normodotato presente in famiglia, che deve poter contare su uno spazio psicologico in cui poter esprimere il proprio punto di vista, evitando l'isolamento o il mutismo e sentendosi in diritto di essere, e non solo di esserci. Essere fratello innanzitutto - spiega Rossella Perrillo - e riconoscersi il diritto ad essere ascoltato oltre che ad ascoltare".
Perché indagare sulle emozioni? "Perché i ricercatori hanno constatato che, più del quoziente intellettivo, sono la consapevolezza emotiva e la capacità di padroneggiare i sentimenti a determinare il successo e la felicità in tutti i campi dell'esistenza, inclusi i rapporti familiari".
Attraverso un questionario, si è chiesto ai genitori di rispondere a domande sulla relazione fra i fratelli e sulle emozioni/percezioni che il figlio normodotato provava nei confronti del fratello disabile, e ai fratelli di esprimere le emozioni e i pensieri suscitate dal fratello con disabilità.
Le emozioni prevalenti. L'emozione prevalente individuata dalle famiglie è l'affetto (65,4%), seguita da protezione, responsabilità, tenerezza, amore. La tristezza e la preoccupazione permeano il tessuto familiare in relazione al figlio disabile rispettivamente nel 35% e nel 21% dei casi. Le emozioni secondarie e che probabilmente sono vissute come socialmente inaccettabili (indifferenza, vergogna, gelosia, insopportazione, fastidio, ostilità) presentano una frequenza molto bassa.
Alla luce di ciò è stato chiesto ai genitori di indicare l'emozione/i che ritenevano provasse il figlio normodotato nei confronti del fratello disabile e si è correlato il risultato con l' emozione riferita dal figlio stesso: la pena che un figlio normodotato può provare rispetto al fratello disabile viene riferita dal figlio stesso e dalla mamma, mentre il papà la individua solo nell'1% dei casi; il senso di colpa è riferito solo dal figlio e per niente citato dai genitori. "La colpa probabilmente deriva dalla percezione di aver avuto una sorte migliore del fratello disabile - spiegano le curatrici - e questi figli vivono in solitudine un sentimento di colpa che può generare malessere psicologico". Emerge poi la rabbia, individuata da entrambi i genitori come emozione espressa nel figlio in misura doppia rispetto a quanto riferito dal figlio normodotato. Vergogna e insopportazione vengono riferite solo dalla coppia genitoriale, mentre i fratelli escludono assolutamente questa emozione in relazione al fratello disabile. Preoccupazione e responsabilità vengono riferiti dal figlio con frequenza maggiore rispetto a quanto riferito dalla coppia genitoriale, "probabilmente - rilevano le esperte - come risultato di un'azione o di una tendenza ‘adultizzata' da parte del fratello". In generale emerge come la madre sia maggiormente in grado del padre di cogliere le emozioni e i sentimenti dei figlio normodotato.
Attenzioni e tempo dedicato. I genitori pensano di dedicare al figlio normodotato maggiori, minori o uguali attenzione/tempo rispetto al figlio affetto da disabilità? E che ne pensato i fratelli? Padri e figli riferiscono rispettivamente nel 62,5% e nel 73,2% dei casi che il tempo/attenzioni dedicate al fratello disabile sia maggiore. La mamma lo riferisce solo nel 25% dei casi. I figli ritengono di avere meno attenzioni del fratello nel 5,4% dei casi, laddove la percezione di dare al figlio normodotato meno attenzioni del figlio disabile si attesta per i papà al 26,8% dei casi e per le mamme al 32,1% dei casi. Le mamme, nel 42,9 % dei casi, ritengono che le attenzioni dedicate al figlio disabile e al figlio normodotato siano uguali, percentuale che diminuisce significativamente al 10,7% per i papà e al 21,4% per i figli. "È interessante notare - rileva Perrillo - come questi dati cambino quando si analizza la percezione del tempo dedicato ai figli all'interno dello stesso nucleo familiare. "Padre e figlio concordano nel 41,1 % dei casi sulla percezione che al fratello disabile venga dedicato più tempo/attenzioni, mentre madre e figlio concordano nel 12,5 % dei casi. Se dunque è vero - affermano le curatrici - che la consapevolezza della propria azione pedagogica ed educativa può promuovere un cambiamento in misura maggiore rispetto a quando tale consapevolezza non è raggiunta, si può affermare che nel 87,5% dei casi le mamme non intervengono per dedicare più tempo/attenzioni ai loro figli normodotati".
La vita senza il fratello disabile sarebbe stata diversa? Dalla ricerca condotta sulle 56 famiglie pugliesi emerge che, secondo i papà, la vita del figlio normodotato sarebbe stata migliore nel 66,1% (dato anche in linea con la quantità di tempo che i papà riferiscono attribuire in misura minore ai figli normodotati) dei casi, mentre la vita del figlio disabile non sarebbe stata migliore per il 64,3% dei casi. Secondo le mamme, la vita del figlio normodotato non sarebbe stata diversa (62,5%). Anche questo dato è in linea con la percezione delle mamme di riuscire a dedicare un tempo/attenzioni sufficientemente equilibrato a tutti e due i figli. A confermare questo dato, vi è il dato successivo per cui secondo le mamme la vita del figlio disabile sarebbe stata qualitativamente migliore in assenza del figlio normodotato solo nel 55,4% dei casi. Per la metà dei fratelli normodotati la loro vita senza il fratello disabile sarebbe stata peggiore, "mentre il restante 50 % del campione si attesta fra la percezione di una qualità di vita migliore e uguale".
Fratello disabile come risorsa. In sintesi, nonostante i fratelli normodotati percepiscano di avere meno attenzioni e meno tempo da parte dei genitori, riconoscono nei fratelli disabili una risorsa migliorativa alla propria esistenza e questo è confermato anche dalle emozioni positive che si riconoscono di provare quando pensano al fratello disabile.
"Dopo di noi"? In ultimo, la ricerca della Cooperativa Solidarietà ha sondato le possibilità che il figlio normodotato possa occuparsi di quello disabile in futuro. Nel 73,2% dei casi i figli dichiarano la propria disponibilità ad occuparsi del fratello disabile in futuro, quando i genitori saranno impossibilitati a farlo. Il campione dei papà è esattamente tagliato a metà rispetto a questa previsione, mentre le mamme, in maniera coerente con il dato sulla percezione della qualità di vita del figlio normodotato (nel 62,5% dei casi riferiscono che la qualità di vita del figlio normodotato non sarebbe stata migliore senza il fratello disabile) riferiscono nel 62,5% dei casi che il figlio normodotato si occuperà del fratello disabile.
"I risultati di questa ricerca, pur non avendo alcun intento esaustivo e di rappresentatività, possono tuttavia fornire agli operatori del settore e alle famiglie la possibilità di muovere riflessioni, in un'ottica migliorativa e propositiva" spiegano Antonella Robortaccio e Rossella Perillo. "Alla luce di quanto emerso, è necessario aumentare la quantità e la qualità della comunicazione all'interno del contesto familiare, in riferimento alla problematica della disabilità che suscita emozioni variegate e non sempre espresse o esprimibili". Per le ricercatrici "è utile guardare anche con interventi di carattere psicologico al figlio normodotato presente in famiglia, che deve poter contare su uno spazio psicologico in cui poter esprimere il proprio punto di vista, evitando l'isolamento o il mutismo e sentendosi in diritto di essere, e non solo di esserci. Essere fratello innanzitutto, e riconoscersi il diritto ad essere ascoltato oltre che ad ascoltare". (ep)
(26 ottobre 2015)